CdS_Ord. N. 00926.2024: il Consiglio di Stato interroga la Corte di Giustizia Ue sulla legittimità dei meccanismi di incentivazione previsti dal decreto Fer 1
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale d’interpretazione relativa all'art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 luglio 2019, che prevede, nell’ambito di un regime nazionale di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, con riferimento a fattispecie in cui i produttori vendono l’energia sul libero mercato, un meccanismo incentivante (c.d. “a due vie”) in forza del quale, rispetto ai soli impianti di nuova costruzione di potenza pari o superiore a 250 kW, l’incentivo è calcolato come differenza tra la tariffa spettante all’impresa (determinata tenendo conto, da un lato, delle tariffe di riferimento previste per ciascuna tipologia d’impianto e d’intervento, dalla normativa applicabile e, dall’altro, delle riduzioni offerte al ribasso dall’operatore nell’ambito delle procedure di asta o registro, nonché delle ulteriori decurtazioni previste in via generale dalla normativa interna) e il prezzo zonale orario, con conseguente obbligo di riversare le somme eccedenti il valore della tariffa spettante quando il prezzo zonale orario sia a essa superiore (c.d. “incentivo negativo”).
La questione è sorta a seguito del ricorso presentato da una società titolare di un impianto fotovoltaico di nuova costruzione con potenza di 999,78 kW, contro il provvedimento di ammissione agli incentivi e il relativo contratto stipulato con il GSE, nella parte in cui si prevede che «nel caso in cui il valore dell’incentivo, ottenuto come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario, risulti negativo, il GSE provvederà a chiedere al soggetto responsabile la restituzione di tale differenza».
La società ha proposto appello, sostenendo che il TAR non abbia considerato che, in caso di aumenti del prezzo dell’energia, il meccanismo comporta l’azzeramento dell’incentivo, precludendo così la remunerazione dei costi d’investimento e di esercizio, in contrasto con la logica della normativa, tanto interna quanto eurounitaria, che è quella di porre l’imprenditore che abbia investito al riparo dall’aleatorietà del prezzo di mercato dell’energia assicurandogli un’entrata fissa, nonché con il principio di concorrenza, dato che svantaggia le imprese che hanno avuto accesso agli incentivi, e con la tutela dei “beni” di cui all’art. 1 del Prot. 1 alla CEDU.
Il dubbio sulla compatibilità tra il diritto nazionale e le direttive discende da tre considerazioni.
In primo luogo, che, alla luce del diritto dell’Unione, il meccanismo incentivante dovrebbe agevolare la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili, favorendo l’investimento nella realizzazione di nuovi impianti o nel potenziamento di quelli esistenti, mediante un contributo pubblico a sostegno dei relativi costi (i quali vengono così posti parzialmente a carico della collettività in ragione delle esternalità positive che si ricollegano alla transizione ecologica), mentre l’incentivo negativo configurato dall’art. 7, co. 7, del decreto ministeriale del 4 luglio 2019 comporta che, nel caso in cui il prezzo zonale orario dell’energia aumenti, le imprese, pur avendo effettuato degli investimenti, non ottengono alcuna sovvenzione che ne riduca il costo, anzi debbano riversare al GSE parte degli introiti derivati dalla vendita sul mercato dell’energia prodotta, con la conseguenza che queste potrebbero essere indotte ad abbandonare l’incentivo, così compromettendo il raggiungimento dei risultati perseguiti dalle direttive.
In secondo luogo, che l’incentivo negativo non può considerarsi una contropartita della garanzia di una tariffa costante, considerato che l’impresa vende l’energia sul mercato, soggiace alle sue dinamiche ed è esposta ai relativi rischi, dunque l’obbligo di versare la differenza tra il prezzo zonale orario e la tariffa spettante al singolo operatore potrebbe pregiudicarne la capacità di reazione alle dinamiche del mercato: per questo, si dubita vi sia un contrasto con il criterio, posto dalle direttive, di configurare i regimi di sostegno in modo da rispondere ai segnali di mercato, evitando inutili distorsioni.
In terzo luogo, che la tariffa “a due vie”, la quale può tradursi nell’applicazione dell’incentivo negativo, è imposta quale unico meccanismo incentivante per tutti gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW, mentre i titolari di impianti di potenza inferiore possono optare per il diverso regime che prevede il ritiro dell’energia da parte del GSE con corresponsione della tariffa spettante a loro favore: da questo deriva il dubbio sulla compatibilità con la prescrizione, posta dalle direttive, di configurare regimi di sostegno non discriminatori.
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